Comunità di Peretola ( 1952 - 1979 )

Tipologia: Ente

Tipologia ente: Ente e associazione della chiesa cattolica

Sede: Firenze

Abstract

Comunità costituita da un gruppo di laici che già facevano parte dell’Azione Cattolica e che fino al 1968 fu attivo all’interno della Parrocchia di S. Maria a Peretola con l’attività di studio liturgico ma anche mediante un gruppo di canto gregoriano e l’organizzazione di una scuola di catechismo. Nel 1968 l’allontanamento dalla parrocchia e l’inizio dell’esperienza “al margine” di un gruppo composto da persone di diversa provenienza sociale, che cresce e si arricchisce durante gli incontri nelle varie case dei componenti della comunità. Il gruppo ha solidarizzato con le prese di posizione di sacerdoti che si indirizzavano verso una chiesa più aperta alle istanze del Concilio, come don Borghi, don Rosadoni, don Mazzi e don Gomiti dell’Isolotto; ha fatto esperienza di vita comunitaria durante le vacanze estive in una casa al mare a Vada coinvolgendo anche gruppi di malati dell’ospedale psichiatrico di San Salvi, in linea con l’esperienza Psichiatria Democratica per cui il malato non è da emarginare ma da recuperare nella società. L’impegno come comunità di credenti si affiancava infatti a quello sociale, nel sindacato, nel volontariato, sul luogo di lavoro, in politica, nella scuola. La lettura biblica, la preghiera, la condivisione delle esperienze quotidiane e della ricerca di un tipo di vita cristiano “non solo a parole” sono gli elementi che hanno avvicinato sempre più fra loro i membri della comunità, che sono arrivati, dopo una lunga maturazione, a celebrare l’Eucaristia in casa, senza la presenza di un sacerdote: in questa scelta hanno trovato un sostegno in don Rosadoni, della Comunità della Resurrezione. L’esperienza della comunità è proseguita fino alla fine degli anni settanta.

Profilo storico / Biografia

Fare una sintesi di ciò che è stata ed ha rappresentato, nell’universo cristiano negli anni 1960 e 1970 la comunità di Peretola non è cosa facile.
Forse non è inesatto dire che la storia della nostra comunità può essere fatta risalire all’ormai lontano 1952, allorché alcuni di noi facevano ancora parte dell’Azione Cattolica.
Già a quell’epoca non ci piaceva la distinzione, allora piuttosto comune fra “noi” e gli “altri” perché ci sembrava legata ad uno spirito di casta assai poco cristiano e troppo fondata su contingenze politiche. Con questo spirito iniziammo ad occuparci di liturgia perché ci sembrava questo il fatto dominante della vita cristiana. Scoprimmo la Lettera agli Ebrei.
La scelta di questo settore di studio si concretizzò nel 1955 nell’organizzazione di un gruppo di canto Gregoriano. Questo servì a creare una maggiore aggregazione fra di noi e soprattutto ad arricchire e a rendere più partecipi le assemblee domenicali in parrocchia dove la preghiera si esprimeva anche con il canto.
Agli inizi degli anni ‘60 il parroco don Montecchi organizzò delle lezioni settimanali di Sacra Scrittura che venivano tenute a Peretola da un esperto biblista, Mons. Nardoni di Fiesole presso il convento delle suore di S. Teresa.
Frequentavamo assiduamente queste lezioni e fu così che il Concilio Vaticano II non ci trovò del tutto impreparati a recepirne lo spirito e la sua forza innovatrice.
D’accordo con il parroco demmo vita a tre iniziative:
1) preparazione comunitaria dell’omelia domenicale, che si faceva in Chiesa e quindi aperta a tutti, ogni giovedì;
2) edizione settimanale di un “sussidio” per la partecipazione comunitaria all’assemblea eucaristica;
3) incontro quotidiano, dopocena, in una cappella attigua alla chiesa, di preghiera comune.
Il gruppo iniziale si incrementò e si decise di concentrare la nostra attenzione sul mondo dei ragazzi attraverso l’organizzazione di una scuola di catechismo di tipo nuovo ispirata ai dettami del Concilio.
Verso la fine degli anni ’60, la Chiesa fiorentina era attraversata da grandi fermenti nel tentativo di realizzare lo spirito del concilio. Il nostro gruppo solidarizzò sempre con le varie prese di posizione pubbliche di diversi sacerdoti come don Borghi, prete operaio impegnato nella lotta della sua fabbrica, la Gover, don Rosadoni della Nave a Rovezzano, don Mazzi e don Gomiti dell’Isolotto, don Masi e molti altri impegnati tutti per dare vita a comunità parrocchiali più aperte alle istanze del Concilio.
Purtroppo l’arcivescovo di Firenze, Florit, preferì tenere una linea di repressione piuttosto che cercare di capire le istanze di cui erano portatori queste nuove realtà.
Nel febbraio del 1968, l’intero nostro progetto fu bloccato. Il parroco fu convocato in curia ed informato dall’arcivescovo che se il gruppo parrocchiale avesse continuato ad operare in parrocchia, Lui sarebbe stato trasferito: “o fuori loro o fuori Lei”. Il parroco, anziano, viveva con una madre molto vecchia.
Avemmo un incontro con lui ed evitammo di farlo scegliere. In silenzio cessammo la nostra attività parrocchiale e ci si mise ai margini continuando però a frequentare la parrocchia e soprattutto continuando con insistenza a vederci ogni sera per la preghiera a cui spesso partecipava anche il vice parroco don Bruno.
La comune inquietudine e sofferenza che questi incontri sistematicamente producevano, ci avvicinavano sempre di più. Dopo la preghiera ci si fermava fuori, si commentava, ci si sfogava. La volontà di non disperderci era molto forte, il desiderio di non interrompere la ricerca comune per imparare sempre meglio a vivere del nostro “oggi” la nostra fede, ci trovava sempre più concordi.
Il grosso problema era quello di come rendersi disponibili agli altri, a tutti, di come essere partecipi, insieme a tutta la Chiesa dell’annuncio evangelico.
Abbiamo dovuto fare delle scelte, ma abbiamo sempre cercato di mantenere in noi un profondo rispetto verso l’esperienza religiosa tradizionale.
Il Venerdì Santo del 1968, come comunità di credenti, organizzammo una veglia di preghiera in Piazza di Peretola, sul tema “La passione di Cristo continua nei poveri, negli sfruttati, negli oppressi”. Furono letti brani del Vangelo e del Vecchio Testamento, alla veglia parteciparono molte persone, che mai avrebbero partecipato alla Veglia in parrocchia.
Il Sabato Santo partecipammo tutti alla liturgia della nostra parrocchia. La nostra presenza fu criticata da alcuni parrocchiani. Non volevamo essere motivo di scandalo e mettere in ulteriori difficoltà il parroco, quindi con profonda tristezza si decise di vederci nelle nostre case per continuare l’incontro con la parola di Dio nello studio e nella preghiera. Da quel momento un gruppo di una ventina di persone, un vero piccolo popolo di Dio, composto da persone sposate con figli, da fidanzati, da scapoli e nubili, da giovani e meno giovani, di ogni estrazione sociale, prende coscienza di essere una comunità di credenti.
Sotto la guida di tanti preti amici, compreso il vice parroco, iniziammo nelle nostre case la lettura del Vecchio Testamento alternata alla riflessione dei primi capitoli degli Atti degli Apostoli.
La lettura arricchì la nostra conoscenza della “storia della salvezza”, la riflessione ci condusse, da un lato a definire certi legami precisi, anche economici, fra noi, e dall’altro all’esigenza dell’eucarestia domestica. Questa veniva celebrata, tutte le volte che se ne presentava l’occasione dal sacerdote che presiedeva alla lettura.
Non ci sentivamo assolutamente una setta, né di essere un gruppo tagliato fuori dalla Chiesa universale. Esperienze religiose a piccoli gruppi non erano del resto estranee alla tradizione cattolica.
Ben presto nacque l’esigenza di condividere il più possibile la nostra vita quotidiana. Un primo passo fu quello di trascorrere insieme almeno le vacanze estive. Affittammo, con l’utilizzo del fondo comune, una casa al mare a Vada. La domenica venivano a trovarci preti amici; insieme leggevamo e meditavamo passi del Vangelo e terminavamo sempre con la celebrazione dell’eucarestia. In seguito cercammo di utilizzare questi periodi non solo per rafforzare il nostro stare insieme, ma per fare qualcosa di utile. Per diversi anni trascorremmo, a turno, le ferie con gruppi di malati dell’ospedale psichiatrico di San Salvi. Insieme a persone fino ad allora escluse, i “matti”, ci mescolavamo fra i bagnanti sulla spiaggia di Vada, i quali disorientati in un primo momento, impararono con noi ad accettare e ad amare il “diverso”.
Il nostro modo di essere Chiesa ci ha avvicinato di più ai problemi umani, che appena ci sfioravano, aumentando la nostra sensibilità verso di essi, ci ha condotto a scegliere, in qualsiasi situazione concreta e a qualsiasi livello i più rifiutati e i più esclusi degli uomini, gli “ultimi” come si dice, impegnandosi “con loro” e rischiando “con loro”.
Insieme ad altre comunità, soprattutto con la Resurrezione della Nave a Rovezzano, con Ricerca Biblica e con l’Isolotto contribuimmo a dar vita ad un coordinamento nazionale delle comunità di base ed alla pubblicazione di un opuscolo chiamato Bollettino di collegamento.
Partecipammo attivamente, portando il nostro contributo a tutte le iniziative che furono prese sia a
livello nazionale che internazionale dalle Comunità cristiane di base.

Secondo lo spirito conciliare, avemmo rapporti con le comunità riformate fiorentine soprattutto con la comunità Valdese. Ci trovavamo per leggere e meditare insieme brani del Vecchio e Nuovo Testamento, la domenica si concludeva, come le prime comunità, con un’Agape.
Dal punto di vista ecclesiale la nostra comunità continuava ad approfondire la conoscenza del Vangelo. Celebravamo il sabato o la domenica l’Eucaristia presieduta da preti amici, ma ad un certo punto sono sorte delle difficoltà per mancanza di sacerdoti. Allora, anche con l’aiuto di sacerdoti, ci siamo interrogati sulla funzione del ministero sacerdotale. Senza mettere in discussione la funzione essenziale che tale ministero svolge all’interno di una comunità cristiana, ci siamo posti la domanda di come doveva comportarsi un gruppo di credenti che si trovavano momentaneamente senza sacerdote, ma che erano uniti nel desiderio di ricordare la Cena del Signore. Dopo lunga meditazione giungemmo alla conclusione che ciascuno di noi, in quella situazione, diventa sacerdote. Da allora, quando ci siamo trovati senza sacerdote, dopo aver pregato, letto e meditato il Vangelo che veniva letto in quel giorno nella Chiesa, a turno uno di noi presiedeva allo spezzare il pane e a versare il vino in ricordo della Cena del Signore.
L’impegno che ci vedeva prendere posizione come comunità di credenti, non escludeva, anzi esaltava, l’impegno che ciascuno di noi aveva nel sindacato, nelle associazioni di volontariato, sul luogo di lavoro, nei partiti, nella scuola, ecc.
Senza traumi personali, quasi inavvertitamente la nostra esperienza comunitaria si concluse alla fine degli anni ’70.
Abbiamo mantenuto fra noi un buon rapporto e saltuariamente ci ritroviamo, ma siamo consapevoli
di aver dato il nostro contributo per il rinnovamento della Chiesa in una fase storica molto precisa, che per noi si è conclusa.

[testo di Gianfranco Betti]

Complessi archivistici

Compilatori

  • Prima redazione: Barbara Grazzini